domenica 10 settembre 2017

Siamo nel 1973, è l'11 settembre. Mi sento impacciata, sono i primi giorni. Il treno, la città, il LICEO! Arrivo all’edificio, tetro, squadrato, in marmo grigio. Mette soggezione, IL liceo per antonomasia.E quella folla rumorosa che pare assediare l'entrata, fatta di ragazzi che appaiono tanto diversi da me, mi fa sentire spaesata. Non ho ancora nessuno con cui fare capannello, né mai lo avrò perché arriverò sempre all'ultimo momento.Stamattina l'atmosfera è strana, c'è agitazione e i gruppetti dei più grandi sono in fermento. Alcuni, che ho individuato fin dal primo giorno, hanno qualcosa di rosso al collo e giacche di velluto a coste. Sono i capi, hanno capelli lunghi e sguardi concitati. Le otto, sarebbe ora di entrare. Il pesante portone di ferro si apre, il bidello si affaccia ma capisce subito che aria tira. “Compagni! oggi la scuola è chiusa.” Urla il tizio con la giacca di velluto e il basco nero. Il chiasso si trasforma in brusio e poi in silenzio. “C'è stato un golpe in Cile.” Si mettono alla porta e non fanno passare nessuno. Molti studenti si raccolgono attorno ai "capi" aspettando ordini. C’è da organizzare qualcosa, pare. La maggior parte degli studenti se ne va, indifferente.Io non so cos'è un golpe e il Cile mi pare molto lontano. Ho sentito parlare del ‘68, qua e là. Qualcosa mi dice che sarebbe importante restare lì, vedere quello che succede. Ma sono timida e non so con chi andare. Così alla fine me ne vado a casa anche io. E' il terzo giorno del mio primo anno al liceo. Mentre vado a casa sono confusa e vagamente eccitata, con l'impressione di essere entrata nel mondo dei grandi, di essere dentro un avvenimento storico. Dopo quell'inizio un po' traumatico, a poco a poco quella scuola è diventata mia. ne conservo un buon ricordo. Sono passati 44 anni, che alla tua età sembrano un'era geologica, lo so. A me invece pare l'altro ieri.

Domani 11 settembre 2017 sarà il primo giorno del tuo primo anno di liceo. Ti auguro di divertirti come mi sono divertita io, di appassionarti a quello che studierai, di imparare a riconoscere la bellezza, quando è più evidente ma anche quando è nascosta ai più.
E non temere, hai tante frecce al tuo arco, molte più di quante non ne avessi io.
Ti lascio con questa poesia che parla di scelte. Tu la tua l'hai fatta, la prima di tante altre che la vita ti proporrà. Buon inizio!


Due strade a un bivio in un bosco ingiallito,
Peccato non percorrerle entrambe,
Ma un solo viaggiatore non può farlo,
Guardai dunque una di esse indeciso,
Finché non si nascose al mio sguardo;
E presi l’altra, era buona anch’essa,
Anzi forse con qualche ragione in più,
Perché era erbosa e quindi più verde,
Benché il passaggio suppergiù
Le avesse segnate ugualmente,
E ambedue quella mattina eran distese
Nelle foglie che nessun passo aveva marcato.
Oh, prenderò la prima un’altra volta!
Ma pur sapendo che strada porta a strada,
Non credevo che sarei mai ritornato.
Dirò questo con un lungo sospiro
Chissà dove e fra tanti anni a venire:
Due strade a un bivio in un bosco, ed io –
Presi quella meno frequentata,
E da ciò tutta la differenza è nata.

giovedì 4 giugno 2015

Tre anni

Quando se ne vanno lasciano un vuoto che ci metterà qualche settimana a colmarsi. Poi l'estate e l'attesa prenderanno il sopravvento. Continuerai a vedere i loro sorrisi e i loro sbuffi e la loro stanchezza, ora che sono arrivati alla fine e pensi che l'ultima prova è una sospensione dell'addio. E ti prepari a godertela. Li rivedi, i piccoli di solo due anni fa, impacciati e timorosi. Ora un po' sfrontati e indifferenti, oppure con il magone per il distacco. Sono pronti per il viaggio in mare aperto. Ogni fine è una sorpresa.
Cercherò di preparare una fine degna di questo triennio faticoso, ma che ha regalato momenti di emozione. Prima che gli esami si portino via i miei bessini.

lunedì 16 marzo 2015

La prima volta

Avere scritto l'ultimo post 15 mesi fa, essermi trovata varie volte a pensare malinconicamente che non avevo proprio nulla da scrivere, guardare indietro questi due anni e vedere una scia di eventi, sfuggiti alla tastiera, non riuscire ad acchiapparne uno degno di essere raccontato, chiedermi perché non ho sentito il bisogno di scrivere, perché non ho trovato il tempo per farlo. Ecco tutto questo mi lascia un senso di inadeguatezza, o forse un più profondo malessere che ha a che fare col tempo e col cambiamento.
Quindici mesi non proprio da nulla: Mafalda si è iscritta alla scuola superiore, io nel mio nuovo ruolo di vice Terry. In realtà sono stata fagocitata, mi sono lasciata più o meno rosicchiare il fegato e ho faticato a trovare qualcosa di buono. I Settimini ora in terza si sono rivelati una classe che diremo con un eufemismo "impegnativa", che il mio semiesonero da vice alla fine se lo sono mangiato a metà, tra colloqui coi genitori, aggiornamenti su bes, iperattività, mutismo selettivo, per non farsi mancare nulla. Il tutto con la brutta sensazione di lavorare male in classe, di essere scissa e non fare bene né l'una cosa né l'altra.
Ecco. Un po' di rancore verso i colleghi, la sensazione che non stessi facendomi del bene e che alla fine l'aver assolto il compito per spirito di servizio non fosse questa gran soddisfazione.
Col rumore di fondo di questa benedetta riforma, che non se ne può più di riforme che riformano mai nulla. Che poi tanto i vicepresidi non servono nemmeno a niente, secondo i Giovani Sapientoni, e il semiesonero non lo daranno più. Che poi vedremo, come al solito.
Pensavo che sarei tornata ad appuntare qualcosa, che scrivere forse è esagerato, quando fossi stata di nuovo capace di ridere o sorridere delle cose, di commuovermi o di arrabbiarmi per qualcosa.
Invece il sordo mugugno di questi quindici mesi mi impegna troppo, mi impedisce. E' stato il tempo di facebook e di twitter, qualche link, qualche battuta o gioco di parole, letture svogliate di poche righe.
Un pensiero grigio, con pochissime sfumature, che ho paura a nominare, poco tempo fa si è palesato. Non è che invecchio? Che non mi diverto più? Questo mi fa orrore.
E poi, eccola, la mia prima volta. Stamattina una mamma mi ha chiesto quanto mi manca alla pensione. Devo avere sbarrato gli occhi, cercando però di camuffare. Cosa? Come si permette? Cosa intendeva dire? Allora si vede anche da fuori! Devo avere la faccia un tantino sbattuta, e il suo indemoniato figliolo è uno di quelli che certamente ha contribuito di più.
Non è che adesso mi metto davvero a contare quanto mi manca? Che mi ritrovo a pensare "meno male che la Fornero c'è"?


martedì 22 ottobre 2013

Urca

Da quando la figliola ha cambiato scuola (già ha cambiato scuola, insegnanti e compagni), tutto è più fumoso e inquietante e solo il fatto di essere seppellita dalle lagnanze di genitori, bidelli, preside e colleghi nella mia scuola, mi impedisce di dirottare l'ansia verso le sorti della terza media di Mafalda.
Solo che oggi, quando mi ha detto al telefono che una sua compagna è incinta di sette mesi, ci è mancato poco che un frontale la rendesse orfana di madre.
Oggi Sciaron, la futura nonna di anni 33, ha comunicato alla prof di lettere che per qualche mese Ylenia non verrà a scuola perché, essendo che deve partorire fra due mesi, preferiscono tenerla a casa.
Due chilometri più in là, pare di aver cambiato continente. E non solo perché alla riunione di classe avevo di fianco la signora col burka e dietro quella con un variopinto abito e una specie di ananas in testa, cosa per altro che sarebbe interessante se le signore parlassero italiano. Ma anche perchè la tipologia degli alunni viaggia a distanze abissali. Mafalda ci si trova a suo agio e io sono contenta, il suo livello di italiano qui è quasi nella media e questo giova alla sua autostima.
Certo però che le diversità rispetto al vecchio contesto riguardano anche questi aspetti più delicati, altro che educazione all'affettività.
Occhi aperti e orecchie tese!

domenica 20 ottobre 2013

La scrittura ai tempi di leroy merlin

Dunque, contando le settimane di apnea/delirio/angoscia per guai generati dalla testa matta di Mafalda, che si sommano a quelle di apnea/ansia/nausea per le troppe ore trascorse a scuola per raccogliere l'eredità fardello di Moby, fanno sette. Forse solo ora comincio a riprendere il mio bel colorino grigio rosa, prima tendevo al verdastro.
Sette settimane senza risucire a scrivere, senza ispirazione ma anche senza tempo né leggerezza.
A settembre, sette settimane fa, ritrovo i miei settimini. E come li ritrovo? Uguali a come li avevo lasciati. Di solito quando ritornano dall'estate della prima, spunta lo spilungone, il brufoloso, quello che ha messo gli occhiali, o l'apparecchio, quello che si è tinto i capelli, quella in cui noti i primi segni da lolita.
I settimini no, loro sono gli stessi di giugno, con qualche centimetro in più che nemmeno si nota, un seno leggermente più evidente, qualche mèche qua e là, una cresta timida. Ma per il resto, identici. Menti confuse e simpatici fancazzisti come prima.
Io del resto nelle prime settimane ho avuto davvero poca testa per loro, tanto ero china su circolari e menate di altro tipo.
Ora mi sento più rilassata, meno essere mutante, più prof.
E arrivata alla correzione dei temi, come resistere? Dopo aver letto poi il pezzo della signora Letta che omaggia il tristo cinquantesimo compleanno della media viene ancora più voglia.
Perché alla fine è ovvio che siamo noi, più che mediocri prof delle medie, come da cliché, a rovinare gli alunni.
Quindi, se i miei adorati scrivono così è perché io non insegno loro come si fa. Punto. Nella classe accanto la mia collega, che davvero non insegna come si fa, ha alunni che scrivono molto meglio. Pazienza. Ha ragione quel ministro inglese che dice che è il dna che conta, la scuola delle pari opportunità è un pacco?

E' probabile che i settimini mi siano arrivati pieni di un talento che io ho stroncato, boccioli che io ho spezzato prima di vederli fiorire.
Ora, sulle descrizioni ci spacchiamo la schiena e le palle da un anno e ci si deve lavorare ancora un sacco. Anche perché, i miei giovani hanno un bagaglio lessicale che il beauty della Barbie in confronto occupa più spazio. E per forza, non leggono! E chi li deve far leggere? Io! E allora, lo vedi che è colpa tua?

Gli do un titolo facile facile, di quelli che poi ti penti subito perché ti ricordi che già tre anni fa nell'altra seconda erano venute fuori delle cagate spaziali. Però, accidenti, non così spaziali. Qui, di tre anni in tre anni, la china si fa sempre più scoscesa.
Comunque dai, hanno una fantasia più vivace quest'anno, hanno alle spalle un anno di lavoro. Vediamo: descrivi il luogo dove ti piacerebbe vivere.
Bello!!! Evvai! Testa china e via.

"Vorrei vivere a Miami Beach, perché c'è il mare e poi perché mi è sempre piaciuta come città. Invece la casa deve essere una villa a due piani con la taverna e la mansarda (ho avuto la visione del seafront di Miami, una fila interminabile di villette a schiera in puro stile brianzolo, col camino faidate nel sottoscala, che chiamano taverna, e il forno per le pizze e l'immancabile barbecue che affumica ogni domenica i condomini il cui balcone affaccia sul microgiardino). Il soggiorno deve avere un divano grande, una poltrona in cui ci sprofondi dentro (wow ha usato in cui, bravo) e una televisione a schermo piatto, di 60 pollici appesa al muro con dei sospensori (??), le finestre dei balconi trascinabili. Salendo le scale fatte in marmo, si trova la lavanderia, con la lavatrice, l'asciugatrice e un ferro da stiro (precisetto, però. Diventerà uno di quei noiosi bricoleur). I due bagni, uno per lavarsi con la doccia che ha compresi i getti e l'idromassaggio, il water sospeso da terra (e qui il mio cuore si è fermato un attimo. Perché io mi chiedo come sia stato possibile che un dodicenne abbia messo al lavoro i suoi neuroni per elaborare anche un elementare pensiero sul water sospeso) e il lavandino di marmo, l'altro bagno è per sistemarsi, con uno specchio circondato da lucine per illuminarlo. Un giardino con una recinzione di siepe decorativa..." Cosa sarà? Quella finta di plastica?
Vi risparmio il letto con il materasso ad acqua, la moquette bianca, il gazebo.
... vorrei dei rotvailer, uno maschio e uno femmina per poi farli accoppiare facendogli fare dei cuccioli e poi rivenderli. Le persone della città devono essere amichevoli, non molto pignole, se ci sono feste non lamentarsi.
Ecco il misero immaginario di questi dodicenni, che sognano di possedere un giorno quel bendidio che vedono al sabato, quando accompagnano i genitori a comprare il barbecue per il giardino o il box doccia in offerta.
Tutti vogliono la piscina, il camino, la tv grande, le luci che si accendono con il battito delle mani, la moquette, il garage per le due macchine. Tutti vogliono vivere in America, fare shopping e avere grandi case su più piani.
Una a New York, una città molto animata dell'America centrale, l'altra a Hollywood, una città molto movimentata e grande dove ci sono tutti i vip, un altro a Miami Lakes che ci è stato quest'estate "vicina al mare, con dei marciapiedi senza fine e ognuno ti porta in un luogo diverso. E i turisti fanno foto a tutto quello che vedono perché era tutto stupendo ed è proprio ecco perché vorrei vivere proprio qui."
Finisco con il capolavoro: "Nella mia casa di quattro piani cucina salotto camere da letto e un piano dedicato al parkour dove io e i miei amici lo pratichiamo, lì ci sono i muretti per saltare e un muro di 15 metri dove si può saltare su e giù. Fuori c'è un giardino molto grande ricoperto da un grosso gazebo, una piscina grande e un canestro da basket". Si imparano sempre nuove cose. Cos'è il parkour?
Ecco, dove ho sbagliato? Sarà colpa della media unica.

mercoledì 4 settembre 2013

Cercasi scuola disperatamente

Mi chiamo Najma, ho 16 anni, sono nata in italia ma non sono italiana.
Ho frequentato la terza liceo artistico e stavo per iscrivermi al terzo anno dell'istituto tecnico grafico.
Sono stata a un passo dal vedere svanire i miei sogni.
Due mesi da incubo seguiti a un anno da incubo. La psicologa, quando ho cominciato ad andare male a scuola ha detto che mi sento scissa. Io non so cosa significhi, anche se credo che corrisponda a quello smarrimento che provo.
Non so bene cosa sono, cosa voglio diventare, a quale terra appartengo a quale cultura.
Per farla breve, sono stata bocciata. Ci sono rimasta tanto male che per dieci giorni non ho mangiato, mia madre e mio padre all'inizio si sono arrabbiati con me, poi si sono arrabbiati coi prof, poiché nessuno aveva detto loro che rischiavo tanto.
Non sembrava che le cose fossero messe così male. Tre debiti, in fondo pensavo ci potessero stare, matematica, fisica e filosofia me li aspettavo. Ma di essere bocciata no, proprio non lo credevo.
Pare che i prof non fossero d'accordo tra loro, che abbiano discusso a lungo, che la De Fabiani, che non so per quale motivo non mi ha mai potuto soffrire, alla fine abbia fatto prevalere la sua idea di me. Certo, anche Asia e Martina le hanno segate, ma loro di insufficienze ne avevano otto.
Poi in casa ho sentito quella cosa che mi ha infastidito e che secondo me non è vera. Papà dice che mi hanno bocciato perché siamo marocchini e sanno che non faremo troppo casino. Ma, dico io, se fossi stata da promuovere, marocchina o no, mi avrebbero promosso.
Mia mamma ha voluto mandarmi in Marocco dai nonni, come se la lontananza potesse farmi dimenticare il dispiacere.
Poi stando là in effetti mi è un po' passata. Mia cugina Ayat, che ha solo due anni più di me, ha avuto una bimba proprio pochi giorni dopo il mio arrivo e c'è stata una bellissima festa. Eravamo in tanti, molti ragazzi suppergiù della mia età, tutti bambini fino a poco tempo fa. Mio cugino Badir è diventato bello e anche se il mio arabo non mi permette di fare grandi discorsi abbiamo chiacchierato un po' e mi è sembrato un tipo intelligente. Mi ha fatto tante domande sull'Italia, io credo di non avergli trasmesso molto entusiasmo in proposito. Il mio animo era pesante e il pensiero della scuola mi faceva soffrire. Begli occhi quelli di Badir, castani, caldi e obliqui, sono una delle cose che mi sono riportata a casa dal Marocco. L'altra è l'immagine delle cicogne che hanno fatto il nido sopra il nostro tetto.
Ecco, a casa. La mia casa è qua, ma mentre lo pensavo da là non potevo fare a meno di sentire che la mia casa è anche là. Vado là tutte estati o quasi da quando sono piccola, la mamma rinasce vicino alle sue sorelle e ride tanto, lei che è così seria di solito.
Avere due case non è meglio che averne una? Dipende, forse alla mia età no. Non mi sento né di qua né di là. La psicologa dice che è per quello che a un certo punto non son più riuscita a concentrarmi. Boh, se lo dice lei. So che a febbraio ho cominciato a prendere brutti voti e tutto quello che facevo andava male.
Le mie amiche mi dicono che sono brava e anche mia mamma è orgogliosa di me. La sento quando parla bene di me alle signore italiane che frequenta. Dice che sono una sgobbona e che lavoro fino a tardi, che siccome abbiamo solo un tavolo, quando devo finire un plastico tutta la famiglia ritarda la cena. In camera da letto stiamo in quattro e c'è giusto posto per una piccola scrivania dove mio fratellino fa i compiti. La signora Anna, da cui mia mamma va a fare le pulizie, è un'insegnante e mi fa sempre un sacco di complimenti.
Quando ero in Marocco alla fine ero quasi riuscita a convincermi che non era poi la fine del mondo. Avrei rifatto la terza e, anche se mi dispiaceva cambiare classe, sarei riuscita a ripartire. Poi un giorno ha telefonato la mamma e mi ha detto che al liceo non possono prendermi, che la terza è già troppo numerosa, che se voglio posso cambiare indirizzo, ma l'artistico, almeno quello, me lo posso scordare. Mi è crollato tutto addosso. Mi sono sentita esclusa, come qualcosa che non c'entra. Scartata. Ho cominciato a pensare che mi avessero bocciato apposta, mi sono tornate alla mente le parole di mio padre.
Sono tornata da due settimane e sto girando per le scuole a cercare qualcuno che accetti la mia iscrizione. I licei artistici della zona sono pieni, per me non c'è posto. Ed è una sensazione orrenda. Respinta. Un'altra volta. La signora Anna dice che la scuola doveva prendermi, perché i bocciati hanno la precedenza sugli altri iscritti. Ma a me non importa, in quella scuola non ci torno. I miei sono andati a parlare un sacco di volte, almeno a cercare di parlare. A luglio non li hanno mai ricevuti e quando ad agosto sono riusciti ad avere un colloquio con la preside lei ha detto che ormai era troppo tardi.
Però oggi finalmente mi sono iscritta: è un istituto con gli indirizzi simili a quelli della mia scuola precedente, è scomodo da raggiungere, mi dovrò alzare prima forse. Ma proseguirò il percorso iniziato. Non avevo voglia di fare il grafico, non è quello che desidero diventare.
Fra una settimana si comincia. Ho paura, come sarà il nuovo ambiente, come saranno i prof, i compagni? Ci sarà anche là una De Fabiani di storia dell'arte? Sono un po' scossa per l'esperienza vissuta, ma credo che ce la farò. Ho una foto di me e Badir, la tengo appiccicata alla parete, ma un po' nascosta dal cuscino così nessuno la nota. Siamo venuti proprio bene e quando la guardo mi sembra di sentire la brezza del tramonto e il profumo del pollo coi fichi della nonna. Mi sa che mi piace Badir, sarà il soggetto del prossimo ritratto che farò.

venerdì 30 agosto 2013

Infinito tramonto di una prof

Ore contate e poi l'oblio. Ultimo giorno di servizio, dopo quarant'anni. Descrivere gli ultimi giorni in servizio di Moby che va in pensione non è facile, tante sono le stranezze da concentrare in un unico post.
Io la sua delfina, sponsorizzata allo stremo, a suo dire, agli occhi di una scettica Madame Terry (non è più tanto suorina) e indecisa di fronte alla nomina della sua vicaria.
Moby ha cercato fino all'ultimo di evitare la grigia soglia del fine carriera.
A casa, con esseri inanimati, con le sue piante e i suoi quadrupedi non ci si vedeva proprio. Sulla scrivania dello studio pile di griglie, circolari, elenchi, tabelle. Tutto esclusivamente, o quasi, cartaceo, che lei è nemica della tecnologia. Quello che è su file è tenuto segreto, chiuso a chiave. Usb a cui nessuna ha accesso.
La sua idea di scuola, dedizione totale e controllo totale. Tutto passa dalle sue mani, non una virgola deve sfuggirle.
Negli ultimi anni ha chiesto una proroga e poi un'altra ancora, finchè le hanno detto, definitivamente e senza anestesia, che era ora per lei di lasciare.
La notizia l'ha gettata in uno sconforto cupo, ma breve, per un paio di giorni si è aggirata con aria un po' assente per i corridoi.
Ma lei non è tipo da deprimersi, lei reagisce aggredendo. Così, da gennaio in poi si è comportata come una leonessa in gabbia. Una leonessa un po' spelacchiata e acciaccata, tenera coi suoi cuccioli e spietata coi nemici. Nemici scelti da lei, sulla base di giudizi arbitrari e inappellabili.
Così ha iniziato a pensare a come tenere in scacco la scuola: la maga dell'orario, la regina delle sostituzioni. La memoria elefantina, lo sguardo acuto, la linguaccia resa ancora più affilata dall'incuranza delle relazioni tipica di chi non ha più nulla da dimostrare: nulla le sfugge, nulla si dimentica.
Non lo sa nessuno che vado in pensione, non dirlo, è un segreto. E tu, guarda che la preside si è convinta: l'anno prossimo tocca a te, preparati.
Ma io, non so se voglio.
Certo che vuoi, e poi... ci sono io! Mica ti mollo.

Ha cominciato a lavorare ancora più alacremente per la successione al regno, che lei così intende la scuola. Un giorno tutto questo sarà tuo e io te lo lascerò nel migliore dei modi.

I nuovi docenti appena varcano l'ingresso vengono azzannati alla giugulare a ogni settembre. Perché lei è così: bisogna fare subito capire come funzionano le cose, per cui meglio dare l'idea di un lager, piuttosto che di una scuola, in cui le è la kapo. Poi col tempo chi capisce e si adegua si guadagna le stellette, sarà il benveuto sotte le sue ali di chioccia.
Da lunedì tutto cambia. Io sono il contrario, non traggo piacere dalla ribalta.
Sono più in ansia che altro, ma Moby è al mio fianco. Anzi farò fatica a scrollarmela di dosso. Mi dice, lunedì non vengo, non mi pare di buon gusto, ma martedì ci sono. Ma sti file me li dai o no? Evasiva, ticchetta poco esperta sulla tastiera e fa finta di non aver sentito. Distoglie lo sguardo con un mezzo sorriso, sulla mia chiavetta, dice. Nessun altro oltre a me metterà le mani sul suo prezioso tesoro.

Mi mancherà e mancherà a tutti. Forse, ma forse no. Perché Moby non è tipo da farsi mettere da parte così facilmente. Ci vuol ben altro che l'Inps.